venerdì 20 agosto 2010

TREKKING IN NEPAL -Testo di Renato Udeschini

Poche le notizie su questo itinerario, direi proprio
scarse. Dopo la lettura del redazionale sul
giornalino di Avventure, si è accesa la voglia di
conoscere questa zona del Nepal veramente poco
documentata. Sapevo solo che Jumla si trova ad
ovest del Dolpo ed il Lago Rara un poco più a nord,
il resto tutto da scoprire. Non parliamo poi della regione
nord del Mugu per la quale non esistono nemmeno
carte affidabili. Riesco ad avere una carta della
regione da Massimo Castellucci, è l’unica che offra
una chiara indicazione di buona parte dell’itinerario,
rimane comunque esclusa la parte nord fino
a Mugugaon, tratteggiata a penna dallo stesso Castellucci.
Tra i libri di casa trovo un vecchio volume
della Calderoni del 1991 con l’indicazione del giro del
Kanjiroba, il massiccio che domina questa zona: la
guida getta un po’ di luce sull’itinerario.
Fondamentale ed unica la relazione di Castellucci, a
quanto ne so l’unico gruppo di Avventure ad essere
arrivato qui nel 2006.
Stiamo schiantando dal caldo mentre siamo in fila
in attesa di imbarcarci sulla pista di Nepalganji, in
questo aeroporto che, a causa dei lavori di rifacimento,
sembra appena uscito da un’incursione aerea.
La fila è veramente breve, il nostro gruppo di
cinque persone, Kaji, la nostra guida ed i due cuochi,
entrambi si chiamano Pemba, e la hostess. Stiamo
assistendo con un certo interesse all’imbarco dei
nostri bagagli, delle ceste dei portatori, fornelli del
gas, padelle, viveri, ecc.. il tutto accatastato sui sedili
appena dietro i piloti. Incredibile ma c’è posto anche
per noi su questi sedili ai quali ci si aggrappa per
mantenere una posizione accettabile. L’umidità dell’aria
fa scorrere il paesaggio come dietro un vetro
opalino, per la verità il vetro dell’oblò è veramente
sporco: sciogliamo le nostra dita incrociate grazie
alla hostess che, scavalcando i bagagli e salendo sui
sacchi, ci offre un vassoio di caramelle!
All’improvviso ci sentiamo centrifugati contro il sedile
e dal finestrino il mondo ci appare con una linea
d’orizzonte a dir poco insolita, il pilota ha eseguito
una virata molto stretta e si è lanciato sulla pista con
un atterraggio da manuale. Ci accoglie una temperatura
piacevolissima, una rete metallica divide la pista
dal mercato, in questo momento molto animato,
c’è anche un negozietto dal quale si può telefonare.
Piazzato il campo nel cortile di una scuola, appena
sotto l’aeroporto, ci disperdiamo subito per il paese.
Jumla ci colpisce immediatamente nella curiosità
della gente, nei sorrisi delle donne ornate con
gioielli dorati al naso e con grandi cerchi alle orecchie,
in una festa di matrimonio alla quale siamo invitati
con grande calore. Il paese si allunga su una
strada con un lato aperto su una vallata coltivata a
grano, sull’altro lato botteghe artigianali ed abitazioni.
Proseguendo si arriva allo snodo principale
che rappresenta anche il centro più animato del paese
con una strada lungo la quale si ammassano i negozietti,
l’altra, prosegue verso nord allungandosi
nella valle che seguiremo domani. Niente che possa
lontanamente assomigliare a Lukla o a Namche
Bazar.
Non c’è un solo negozio dedicato ai turisti, il mercato
della frutta è costituito da poche persone che sul

sulla
strada stendono le verdure del loro orto. Il macellaio
ci dà il benvenuto con una calorosa stretta di
mano appena estratta da non so quali viscere, che
spettacolo, continuiamo su e giù per il villaggio fino
a quando comincia a fare buio.
Le brutte notizie sono in arrivo, Kaji ci comunica che
da informazioni raccolte in paese, i due passi che dovremmo
affrontare sono attualmente impraticabili
causa abbondante presenza di neve. Sconvolto completamente
il programma stabiliamo che una volta
giunti a Mugugaon raccoglieremo notizie più dirette
e, nel caso fosse veramente impossibile affrontare i
valichi, torneremo sui nostri passi fino al lago Rara
e poi rientreremo a Jumla percorrendo un sentiero
più a ovest rispetto a quello dell’andata.
Arriva finalmente il giorno del cammino, e che giorno.
Dopo un’ora siamo fuori dal paese e cominciamo
subito quella che sarà una delle giornate più impegnative
del viaggio, gran caldo, salita ripida e subito
1300 metri di dislivello, tanto per gradire, e molta
foschia. L’avvicinamento al lago Rara continua nei
giorni successivi con paesaggi che mutano continuamente
attraverso villaggi, terrazzamenti, boschi
di conifere e cedri giganteschi. Il susseguirsi di saliscendi,
che non finirà più fino al ritorno, comincia
a mostrare il meglio di sé. Il movimento suscitato dal
nostro passaggio fa capire più di ogni altra cosa
quanto isolati siano rimasti questi luoghi e quanta
meraviglia susciti la presenza di stranieri, non mi è
mai capitato di trovarmi in una situazione del genere,
ci sentiamo e siamo degli extraterrestri.
Ora il tratto di altopiano che stiamo attraversandosi
si è fatto più dolce, gruppi di donne sedute con le ceste
posate a terra ci salutano ridendo, accenniamo
a delle fotografie, alcune si nascondono, altre fingono
di nascondersi. Il comodo sentiero entra di nuovo
in un magnifico bosco, oggi è una bella giornata
e la tappa non sembra essere troppo lunga. Sbuchiamo
all’improvviso in una radura e sulla nostra
destra, poco distante, il lago. Appare non annunciato
in una leggera foschia e come sospesi in un sogno
costeggiamo il lato ovest per finire nel campeggio
sulla sponda nord.
Il lago Rara, dopo quattro giorni finalmente siamo
qui, sognato ed ora visto: somiglia molto ad un nostro
lago alpino, completamente circondato da boschi
di conifere: non ci sono villaggi in questo posto,
solamente un piccolo museo della zona ed una abitazione
che funge da lodge, poco più avanti una postazione
militare occupa una vasta area. In lontananza
montagne coperte di neve fanno da sfondo:
quando chiedo a Kaji di quali montagne si tratti mi
sento rispondere che non sono montagne ma hill,
colline! Abbiamo toccato con mano la teoria della relatività.
Kaji ci racconta che durante l’autunno il lago rappresenta
un posto di sosta per migliaia di uccelli migratori
che per diversi giorni transitano dal nord per
svernare a sud, potervi assistere deve essere certamente
un’esperienza unica.
Il posto gode di una pace assoluta ed abbiamo tutto
il tempo per goderne con tranquillità, domani ci
aspetta una tappa più lunga.
Ed il giorno dopo costeggiamo ancora il lago per un
buon tratto prima di imboccare un sentiero che
scende a rotta di collo in mezzo al bosco, non posso
fare a meno di pensare che forse lo dovremo anche
risalire! Lo spettacolo che si apre una volta usciti dal
bosco è straordinario. Per un dislivello di circa mil-
le metri si apre un enorme anfiteatro naturale completamente
coperto di terrazze coltivate, in mezzo
villaggi appiccicati alla montagna e gente dappertutto
a lavorare la terra. Il nostro sentiero porta davanti
a noi ad un crinale sul quale, per la lunghezza
di circa un chilometro, si stende il villaggio di Gamgadhi.
E’ vero, non ci sono né ottomila, né settemila
e neanche seimila, “solo” qualche cinquemila o poco
più, ma quello che si vede qui lascia a bocca aperta.
Il lavoro costante che ha portato alla costruzione
di questo paesaggio è ed è stato immane.
Il rovescio della medaglia è che si è proceduto ad un
disboscamento selvaggio che sta modificando il territorio
in modo sostanziale e questo disboscamento
continua ed è visibile in ogni angolo. Attraversando
il paese ci imbattiamo in alcuni poliziotti che ci scattano
delle fotografie, l’arteria principale è tutta un
grande mercato, si trovano persino bibite e si può
anche telefonare con facilità, è sicuramente il centro
più grosso di tutta l’area. Sopra il villaggio c’è un
aeroporto che funziona regolarmente e vicino al
paese si trova una zona di atterraggio per elicotteri.
Il movimento è soprattutto vicino a quest’area perché
tutti i giorni, con regolarità, atterra un elicottero
per il trasporto di materiali di ogni genere. Spendiamo
più di un’ora in queste strade e negozi ed ogni
volta che ci fermiamo diventiamo il polo di attrazione
per numerosi gruppi di persone. Non faremo sosta
qui questa sera, il sentiero scende sempre più ripido
fino ad un torrente e poi risale l’altro versante
fino a Lumsa, siamo entrati nella valle scavata dal
fiume Mugu-Karnali.
La situazione politica in Nepal è in continua evoluzione
verso una forma parlamentare che ha ormai
definitivamente spodestato il re. Parlando con la nostra
guida comprendiamo che ci sono grandi aspettative
verso il nuovo che ormai sta arrivando, dalle
scuole, all’assistenza medica, ad una forma politica
partecipata, ad un cambiamento delle condizioni di
vita della maggioranza della popolazione.
La zona del Mugu , durante gli anni della rivolta, è
stata quella a maggior presenza maoista, come ci
racconta Kaji. Nel 2006 il gruppo Castellucci ebbe
dei problemi con alcuni di questi gruppi che esigevano
“l’offerta” in denaro come forma di sostegno alla
loro causa. Ora, con la elezioni che hanno portato
i maosti alla vittoria, questi problemi si sono risolti
e sono cessate le richieste di denaro.
Mentre saliamo a Mangri non posso fare a meno di
pensare all’episodio sopra citato nonostante sia
Tshering sia Kaji mi abbiano tranquillizzato al riguardo.
La salita è inizialmente ripida fino ad avvistare
un chorten che annuncia la presenza del villaggio.
Siamo in zona buddista e i segni della religiosità
cominciano ad apparire in questa valle, così
come l’architettura delle case è tipicamente tibetana.
Oltre il chorten si cominciano ad attraversare
una serie di bellissimi terrazzamenti. Una serie di
altri chorten ci accoglie poco prima del villaggio,
un’altra fila, addossata alla montagna, porta ad un
gompa circondato da bandiere.
Il villaggio è straordinario, una serie di abitazioni tutte
uguali con ampie terrazze al posto dei tetti: il piano
terra è occupato dalle stalle e dal recinto con gli
animali, il piano superiore adibito ad abitazione e la
terrazza utilizzata per essiccare il raccolto, i piani
comunicano tra di loro con tronchi di legno intagliati
a formare delle scale. Saliamo al gompa proprio
nel momento in cui comincia la preghiera: quattro
monaci e pochi fedeli che arrivano alla spicciolata
dal villaggio.
All’interno statue molto espressive del Buddha ed ai
lati lunghe file di libri. Sono molto sorpresi ed entusiasti
per la nostra presenza, ci invitano ad entrare
e ci offrono una tazza di una bevanda leggermente
alcolica, un distillato di riso.
Ci accampiamo nella piazza, davanti alla scuola, in
questo momento abbiamo un po’ sconvolto il normale
svolgersi della vita. Dalle case intorno la gente
rimane affacciata a curiosare ogni nostro gesto,
mai nessuno si è fermato qui e le nostre tende sono
una fonte inesauribile di discussione: bambini e
adulti affacciati all’apertura spiano ogni gesto e
commentano ogni cosa. Soltanto il tramonto del sole
porterà un po’ di tranquillità alle nostre stanche
ossa ed alle nostre orecchie.
La regione che stiamo attraversando è trasformata
dall’uomo che in certi luoghi dà l’impressione di essere
attaccato alle terra con le unghie e con i denti,
la stagione è complice nel rendere il paesaggio più
brullo: a differenza delle vallate ora completamente
verdi per il grano, a questa altezza il riso non è ancora
stato piantato ed il terreno risulta arido ed incolto
Questa mattina partiamo prima del solito, sembra
che Kaji abbia fretta di andarsene, forse memore
della precedente esperienza: mi dirà che comunque
non ha riconosciuto nessuno dei maoisti che lo fermarono
due anni prima, chissà.
La valle del Mugu Karnali che stiamo risalendo in più
tappe offre incomparabili scorci sul fiume sempre
molto impetuoso. Intorno boschi e montagne che in
certi momenti strapiombano sul fiume, il sentiero è
a tratti scavato nella roccia e ad ogni curva c’è la sorpresa
di una ripida discesa o di uno strappo mozzafiato.
Carovane di muli nei due sensi ci tengono compagnia
e nemmeno il campeggio libero nei rari
spiazzi che si aprono improvvisi in riva al fiume ci lasciano
un po’ tranquilli: dappertutto tracce della loro
presenza testimoniano della notevole frequentazione
di questi luoghi. Anche noi utilizziamo questi
animali per i nostri bagagli, animali che, una volta
liberati del loro carico, si aggirano tra le tende brucando
erba e scagazzando a volontà oppure se ne
vanno nei posti più incredibili costringendo i nostri
accompagnatori a delle acrobazie per recuperarli.
La tappa per arrivare a Mugugaon si annuncia lunga
anche se il dislivello assoluto a fine giornata sarà
di circa mille metri. Il sentiero, pur nella sua bellezza,
è esasperante per i leggeri e continui saliscendi
che fanno guadagnare quota con una lentezza
disarmante.
“Ancora un’ora???” vorrei ammazzare Kaji e morire
lì con tutti gli altri, ma sarebbe troppo facile e dobbiamo
soffrire fino in fondo. Sono diverse ore che
camminiamo, ad ogni curva, dopo ogni salita, la valle
si allarga e poi si restringe come in una smorfia
beffarda in faccia a noi. Ci guardiamo senza parlare
e ci viene da ridere per la disperazione, solo il pensiero
di una stupenda minestra di verdure servita alle
tre del pomeriggio, immediatamente dopo il
the con i biscotti,
ci carica di nuove energie e speranze e …ne valeva
veramente la pena.
La valle comincia a farsi più dolce e più ampia, il fiume
ha smesso di rumoreggiare e si allarga con ampie
anse in un prato verdissimo, un ponte con strisce
di bandiere di preghiera lo attraversa e si porta
sul lato sul quale sorge Mugugaon. Il villaggio si
stende sulle pendici della montagna ed è dominato
da una bella cascata. Poco sopra il villaggio un gompa
offre una veduta d’insieme della zona; nel villaggio
un altro gompa è stato da poco ultimato. Ora però
siamo troppo stanchi e rimandiamo al mattino
successivo la visita del paese.
Un incontro inatteso anima questo pomeriggio: un
folto gruppo di persone, uomini e donne, si sta avvicinando
al nostro campo, sono equipaggiati di pale
e picconi e vengono a sedersi a pochi metri dalle nostre
tende. Si dispongono in cerchio, ciascuno con
una tazza davanti a sé che viene riempita con del liquido
biancastro che uno del gruppo versa continuamente
da alcune piccole taniche; ogni tanto
qualcuno si volta verso di noi e commenta la nostra
presenza con i compagni. La loro curiosità è ricambiata
dal nostro interesse e ci avviciniamo per saperne
di più, estraiamo le macchine fotografiche con
qualche timore ed all’improvviso uno di loro ci spara
una fotografia con una piccola digitale! Il ghiaccio
è rotto, veniamo coinvolti in uno scambio di scatti,
di sorrisi e di pacche sulle spalle. Sono tutti giovani
e parlano un buon inglese, vengono da Kathmandu
e da Pokhara e sono qui per lavorare alla
strada che collegherà Mugugaon al Tibet, vengono
pagati con provviste di cibo ed alloggiano nelle case
del villaggio. Ci offrono la loro bevanda che si rivela
essere un artigianale distillato di riso leggermente
alcolico. Comincia a far buio e tra saluti e strette di
mano si allontanano in direzione del villaggio.
La mattinata è piuttosto fredda e quando cominciamo
a salire al gompa che domina il villaggio in giro
non c’è quasi nessuno. Il solo comincia ad illuminare
la valle e poco dopo investirà in pieno tutto l’abitato.
Nella stanza attigua del gompa ci sono alcune
persone che ci guidano all’interno del tempio, anche
qui sono in corso dei lavori di sistemazione ed il tutto
appare molto in disordine. Dall’alto osserviamo le
nostre guide che stanno smontando il campo e si apprestano
a partire. Attraversiamo gli stretti vicoli giù
verso il fiume tra le occhiate di curiosità ed i cenni
113di saluto delle donne che già cominciano a trasportare
acqua e legna su e giù per i viottoli.
Ce ne stiamo andando e già ieri abbiamo avuto la
conferma che non sarà assolutamente possibile valicare
i passi, troppa neve e troppo pericoloso. Riavvolgiamo
il nastro dell’andata e ripercorriamo l’itinerario
fino al lago Rara come in un film appena visto
ma… ancora al lago non siamo arrivati!
Stiamo camminando da diverse ore ed ora il cammino
si svolge in un bellissimo bosco che declina sul
fiume e ad ogni curva ci aspettiamo di arrivare. Anche
Kaji non ci è molto di conforto fornendoci indicazioni
che a noi sembrano esagerate ma che alla
fine si riveleranno invece esatte. Nel bosco l’aria diventa
più scura ed anche le carovane di muli sembrano
avere un passo più spedito su questi stretti
viottoli: un bagliore in lontananza accresce la nostra
ansia, speriamo di arrivare in tempo… le prime gocce
di pioggia! Mantelle, ombrelli, coprizaini, in un attimo
ci trasformiamo mentre la pioggia aumenta di
intensità. Dopo mezz’ora arriviamo a Chairi e ci
guardiamo intorno sconsolati, tutto intorno acqua e
fango… e continua a piovere. Prima di attraversare
il ponte sospeso per entrare nel villaggio ci sono alcune
case che hanno l’aspetto di uno chalet svizzero:
sono in pietra, ante e balconate in legno, promettono
bene, è in una di queste che passeremo la
notte. Aspettiamo una decina di minuti e prendiamo
possesso delle due camere. Ci guardiamo senza parole
e ridiamo per non piangere: un letto con sopra
cuscini e coperte impegnati di polvere vecchia di una
decina di anni, ragni che hanno scelto questi muri
traforati come loro habitat naturale ci terranno compagnia
durante la notte, grossi buchi nel pavimento
di assi e terra ci mettono direttamente in comunicazione
con la cucina sottostante che ci manda tutti i
profumi e gli scarichi della preparazione della cena,
manifesti riguardanti l’educazione infantile sono appiccicati
ai muri con sterco di varia origine. Dal balcone
con il tetto basso nel quale andrò a rintronarmi
la testa per una decina di volte si gode il passaggio
delle carovane di capre e muli che continuamente
transitano e si fermano in questo angolo di Nepal:
solo il richiamo del cuoco ci costringerà ad abbandonare
la nostra alcova facendo attenzione a
non rovinare nel fango giù per la ripida scala a pioli.
Il mattino soleggiato ci fa apparire tutto in modo diverso,
ce ne andiamo mentre si addensano le carovane
che risalgono la valle, sarà difficile dimenticare
questo posto.
Stiamo arrivando in vista di Gamgadhi, quel villaggio
allungato sul crinale che abbiamo attraversato
all’andata; come concordato non pernotteremo nel
villaggio. Prendiamo un sentiero che aggira l’abitato
innalzandosi sui fianchi della immensa conca terrazzata
cosparsa di villaggi. Intorno, sulle terrazze
delle case, dappertutto donne con bastoni dotati di
uno snodo battono il miglio appena raccolto. La salita
si è fatta ripida e poco prima di arrivare si scatena
un acquazzone che ci costringe a ripararci nei
punti più disparati: finalmente arriviamo nello spiazzo
antistante la scuola, siamo ai margini del villaggio
di Srinagar (è un altro, non quello!). Nell’attesa
che il terreno asciughi si è formato un capannello di
persone che non ci abbandonerà più fino al calare
del sole. Da questo punto il paesaggio è fantastico:
davanti a noi l’ampia vallata completamente terrazzata
con il miglio giallo ormai maturo, in ogni dove
gente intenta al raccolto che non si è fatta spaventare
dal temporale, sull’altro versante che diventa
strapiombante si allunga in un unico colpo d’occhio
il villaggio di Gamgadhi. Cambia continuamente la
luce grazie a questi nuvolosi che corrono veloci offrendo
ad ogni momento nuove suggestioni.
La discussione di Kaji con un drappello di persone si
protrae ormai da circa un’ora ed ho paura che stia
sorgendo qualche problema, quando però vedo Kaji
tornare alla sua tenda e la gente piano piano allontanarsi
ci tranquillizziamo. A cena ci racconterà che
erano alcuni poliziotti molto incuriositi dalla nostra
presenza che hanno voluto conoscere tutto di noi e
del nostro itinerario, mai nessuno era transitato e
tanto meno aveva campeggiato in quel posto prima
del nostro gruppo!
Il mattino uscire dalla tenda ed affacciarsi su questo
anfiteatro che lentamente si va animando è uno
spettacolo che non lascia indifferenti. Lasciato il
campo ci dirigiamo verso le fontane appena fuori il
villaggio, un posto obbligato sempre affollato dove
tutti prima o poi si ritrovano per rifornirsi d’acqua e
per lavare. Comincia la lunga e ripida salita che ci
riporterà al lago Rara.
Sulle rive del lago sembra quasi di essere tornati a
casa, l’ampio paesaggio e la tranquillità del posto
fanno sembrare lontane le fatiche dei giorni passati
e ci fanno rilassare: ci spiace lasciarlo ma abbiamo
davanti a noi ancora alcuni giorni di cammino prima
di arrivare a Jumla. Continuiamo costeggiando
il lago ed al bivio lasciamo sulla sinistra il sentiero
che abbiamo percorso all’andata, il sentiero segue
un ruscello in mezzo al bosco e sbuca vicino ad una
casa circondata da un vasto prato nel quale campeggiamo.
Poche persone transitano su questo sen-
tiero, guardano, salutano senza rallentare troppo e
poi proseguono in compagnia dei loro animali.
Kaji non conosce questa zona ma con noi abbiamo
un ragazzo che ha percorso diverse volte questo itinerario
e quindi non avremo problemi di orientamento.
Fa piuttosto freddo questa mattina, le tende sono bagnate
per l’umidità del bosco, dal prato si alza un intenso
vapore come da una pentola in ebollizione, ci
scaldiamo con la colazione e subito cominciamo in
discesa, niente di buono, in mezzo al bosco. Infatti
non può durare, attraversato un ruscello il sentiero
comincia a salire ripido in uno splendido bosco, complice
il fresco si sale senza difficoltà. Il bosco ha un
aspetto primordiale, le rocce cariche di muschi testimoniano
dell’umidità della zona e richiamano i
suggestivi racconti di orchi e folletti dell’infanzia.
Questo bosco non finisce mai, meglio non chiedere
lumi sulla durata del percorso anche perché ormai
abbiamo imparato che la media giornaliera si aggira
sulle 6/7 ore. Quando però sbuchiamo su un grande
pianoro ed appaiono le prime piante di rododendro
fiorite lo spazio esplode intorno a noi con grande
emozione: sotto di noi il lago Rara, intorno montagne
piene di foreste ed in lontananza parvenze di
villaggi abbarbicati sui crinali e sullo sfondo montagne
piene di neve, come si fa a non fermarsi… oltretutto
abbiamo anche fame! Siamo a 3700 metri. Lo
spettacolo dei rododendri, alberi non cespugli, niente
a che vedere con quelli delle nostre Alpi, è fantastico
nonostante la stagione inoltrata. Man mano si
sale il colore diventa sempre più tenue ed appaiono
i rododendri blu, in realtà di un bellissimo colore rosa-
violetto. E ricominciamo a scendere o meglio, a
slanciarci giù per questo sentiero fino ad un immenso
verdissimo pianoro che attraverseremo tutto
prima di campeggiare.
In lontananza vediamo avvicinarsi un gruppo di persone
seguite dal suono dei tamburi: è una festa nuziale,
gli invitati stanno accompagnando lo sposo
dalla futura moglie al villaggio di Rotha, sembrano
un po’ bevuti ma riescono ugualmente ad invitarci
alla cerimonia nuziale che si terrà la sera stessa. Il
costume tradizionale dello sposo è coperto dalle
banconote che le gente abitualmente offre in queste
occasioni, si fermano solo pochi minuti e poi si allontanano
sempre con un gran fracasso di tamburi
e trombette.
Questo nuovo itinerario che stiamo percorrendo è di
grande soddisfazione per gli ambienti completamente
diversi che andiamo incontrando. La zona del
Mugu Karnali è caratterizzata dalla costante presenza
del fiume che corre quasi sempre incassato
in strette gole limitando a volte la vista sull’ambiente
circostante. Qui i continui saliscendi spaziano dai
boschi alle pianure coltivate, dai rododendri fioriti
agli alpeggi di alta montagna in un ambiente che
cambia con molta più rapidità. Non è meno impegnativo
dal punto di vista fisico ma il solo fatto di percorrere
un itinerario non previsto rende più stimolante
l’approccio verso il nuovo.
Quando arriviamo al villaggio di Sinja il giorno successivo
abbiamo l’esperienza di un ambiente ancora
diverso e un’accoglienza che è il segno dei tempi
in un Nepal che sta lentamente cambiando.
Il villaggio su stende su un crinale appena sopraelevato
su una stupenda pianura completamente verdeggiante
per il grano non ancora maturo. Sul sentiero
alcune case si appoggiano a dei cedri enormi
mentre degli archi di pietra coperti dai simboli della
falce e martello, posti all’entrata del villaggio, ci
ricordano gli scontri sanguinosi che anche qui si sono
svolti per molti anni e che hanno portato al nuovo
Nepal.
Mentre sono disteso sul prato a scrivere le mie memorie
Kaji si avvicina dicendomi che il capo della polizia
vuole vedermi. Oddio, che ho tatto! L’ufficiale mi
accoglie con un inchino e con una stretta di mano, è
in tuta mimetica con cinturone e pistola accompagnato
da altri due poliziotti. Si rivolge a Kaji in nepalese
con un tono che a me sembra deciso e che
non ammette repliche. Si è informato sulla nostra
presenza ed ora è venuto a constatare di persona.
Kaji mi traduce: “Sono molto onorato di…”, il ghiaccio
si è sciolto, seguono una serie di convenevoli ed
un invito a rivolgermi a lui per qualsiasi problema,
ad un mio sorriso mi risponde con una pacca sul
braccio, ha capito che forse avevamo frainteso: è tutto
a posto. Si allontana rivolgendo un saluto di benvenuto
a tutto il gruppo. Kaji mi dice che le cose stanno
veramente cambiando, solo un anno fa le cose
non sarebbero andate proprio così, il sospetto e mille
domande di chiarimenti con richieste di denaro
sarebbero state la normalità.
Quando, dopo una ripida salita (ma va!), saliamo a
visitare il “palazzo reale” che sovrasta il villaggio di
Sinja, ci guardiamo sconsolati allargando le braccia,
nonostante io sia un appassionato di archeologia e
di storia faccio francamente molta fatica ad apprezzare
una costruzione bassa di una quindicina di metri
per lato, chiusa, ricoperta da sgangherati tetti in
lamiera in condizioni non certo migliori dell’edificio
che dovrebbero proteggere. Ce ne andiamo scendendo
da un sentiero a capofitto verso la valle sottostante.
La sosta per questa notte si farà in un
alpeggio a 2930 metri, la giornata
non è stata delle
migliori, già
nella tarda mattinata il cielo si è coperto lasciando
cadere a tratti una leggera pioggerellina. Quando arriviamo
il tempo è migliorato, ci sistemiamo su un
terreno con una leggera pendenza che durante la
notte ci costringerà a continue manovre per “risalire”
per non trovarsi con i piedi all’aperto. I cuochi
hanno finito il carburante e quindi sono sparsi per il
bosco a raccogliere rami secchi per accendere il
fuoco, si alza il vento che durerà un paio d’ore squassando
le tende con forti raffiche e fa anche freddo.
Quella di domani sarà l’ultima tappa verso Jumla e
tutti sogniamo un letto ed un tandoori chicken mentre
la cena servita dal nostro Pemba ha un retrogusto
di affumicato, dalla minestra alla frutta sciroppata,
che meraviglia!
Come dice Kaji l’ultima tappa è down, down…, si ma
prima c’è una salita che te la raccomando. Comincia
appena fuori dalle tende, neanche il tempo di dire
amen e si alza brutalmente all’interno del bosco.
Oggi doveva essere una tappa di trasferimento per
arrivare a Jumla ma ci dobbiamo ricredere. Ora il
sentiero ha diminuito un poco la pendenza ma ad
ogni dosso ne segue un altro, un salto nasconde il
successivo ed il bosco non accenna a finire. Finalmente
uno slargo ed un alpeggio con mandrie al pascolo,
respiriamo un poco e davanti a noi si stende
una valletta che, accidenti, scavalchiamo e ricominciamo
a risalire sull’altro versante. Tra una sbuffata
e l’altra arriviamo al culmine della giornata a 3530
metri, ci buttiamo sull’erba e nonostante siano solo
le 9,30 ci buttiamo sul pranzo preparato la mattina
dal nostro cuoco: un pezzo di buon formaggio, biscotti,
un pezzo di noce di cocco, un ciapati e dell’uva
sultanina, che fame!
Da qui comincia veramente la lunga discesa che ci
porterà a Jumla ripassando attraverso l’alpeggio di
Chere, la nostra prima sosta pranzo dell’andata. Qui
intorno volteggiano una decina di meravigliose aquile
che passano sopra le nostra teste con volteggi da
togliere il fiato, come saluto per la fine del nostro
viaggio non potevamo sperare niente di meglio.
Un’ultima considerazione. Sono convinto che questo
itinerario potrà costituire lo spunto per un nuovo
programma di viaggio, andata e ritorno da Jumla al
lago Rara attraverso i due percorsi e vi assicuro che
non si tratta di un trekking della domenica e che non
vi lascerà certo delusi.


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