martedì 1 novembre 2011

RACCONTO DEL VIAGGIO IN NEPAL

 Lavorare al telaio in mezzo al riso maturo
 Mangiare sul balcone
 Guardare incuriosito
 Ragazze tibetane
 Il Manaslu
 Bimbo con la giacca di Guya
 Pietro, Franco e Manfredi - Cai Mortara
 Bambina affettuosa
Ragazze scendono a valle



MANASLU E TSUM VALLEY

Manaslu montagna dello spirito, Tsum Valley valle della felicità

4 ottobre - Siamo partiti da Kathmandu alle 07,30 in jeep su strada asfaltata quindi abbiamo preso una strada bianca in alcuni punti molto disastrata a causa delle recenti piogge e siamo giunti ad Arugath alle 15,30. Siamo a circa 550 metri nel Manaslu Lodge siamo sistemati in due camere: io con Franco e Pietro tutto da solo. Abbiamo con noi la guida Krishna, e quattro portatori. Viaggia con noi un tedesco con la sua propria guida, si chiama Jorgen, fuma tantissimo.
Sono stati richiesti per noi tre permessi, uno per il Manaslu, uno per la Tsum Valley ed uno per il circuito (parte) dell‘Annapurna.
Sono stati due giorni come al solito stupendi, Kathmandu è una città viva anzi fin troppo viva per noi occidentali ma il suo fascino antico ed attuale è sempre fortissimo. Trovarsi nel quartiere Thamel significa sdoppiarsi in due precise entità (chi ne è capace) la prima da turista incuriosito, divertito e affascinato… l‘altra nel sentirsi parte di una realtà multietnica e, credetemi, almeno per me, sentirsi accettati e coinvolti da profumi, sapori, colori e volti è semplicemente incredibile perché chi possiede queste qualità apprezza chiunque lo sfiori anche persone che per noi occidentali sembrerebbero sporche, malate, inadeguate.
Io qui mi sento umano, vero ed è commuovente appartenere anche solo per pochi giorni a questo popolo..

05 ottobre - Sveglio alle cinque, colazione alle sei e partiti alle sette. Abbiamo camminato lungo un fiume impetuoso, un saliscendi attraverso piccole comunità rurali, siamo nel periodo del festival, una festa che si svolge  due volte all’anno, a maggio e a ottobre, chi ci va di mezzo sono le capre che dopo  essere decapitate e rasate vengono colorate di giallo e successivamente squartate per essere consumate durante i pasti con l’accompagnamento della bevanda tipica di qui: il  Rakshi o il  Gang.

Dopo quattro ore ci siamo sistemati in un lodge l’ABC., naturalmente a pranzo il Dalbath

E’ stato un lunghissimo pomeriggio molto caldo passato naturalmente al fresco facendo ripetuti bagni nel fiume Budhi Gandhaki.
La notte è trascorsa quasi insonne a causa del caldo e degli schiamazzi dei portatori ubriachi.

06 ottobre - sveglia sempre alle cinque, colazione alle sei e mezzo e partenza alle sette con sosta per il pranzo a Labhu Beshi in un lodge il tempo di percorrenza è stato di circa quattro ore, attraversando grandi foreste e passaggi su roccia molto esposti, interminabili scalinate e continui passaggi in zone invase dall’abbondante acqua, sono consigliabili scarpe ben protette da prodotti idrorepellenti.
Il costo dell’acqua che a Kathmandu era di diciotto rupie qui è salito a 100!.
Nell’attraversamento di un guado ho fatto un passo falso e nello sbilanciamento ho riportato uno strappo muscolare alla spalla destra ed ora cammino con il braccio al collo.
Ripartiti alle 12,30 e seguendo il corso del fiume in un continuo saliscendi siamo arrivati direttamente sul greto dove esistono tre punti di ristoro che erano tutti invasi da portatori e trekkers di diverse nazionalità. Alle quindici e trenta siamo arrivati a Machi Ola un graziosissimo paesino con una piazza centrale dove l’hotel Lodge Everest gestito da due bellissime sorelle ci ha ospitato. Naturalmente stasera Dalbath..


7 ottobre - Solita sveglia, solita colazione e solita partenza. Attraversato il primo ponte preceduti dai portatori abbiamo seguito il solito fiume, sopra di noi è un susseguirsi di elicotteri che portano i partecipanti ad una altra sfida sul Manaslu.
Facciamo sosta pranzo a Doban dove giungiamo dopo quattro ore, posto  “ristoro” frequentatissimo da turisti e portatori che preparano da mangiare. Altre tre ore ci portano a Jagath.
Un lodge sulla strada, una strada opera d’arte, tutta lastricata già cento metri prima. Tantissimi bambini giocano dando all’insieme un romantico tema. Riesco a caricare la batteria del computer direttamente dalla rete elettrica, cena e una dormita saranno il mio premio.

8 ottobre - Definirla tappa è una bugia, dopo solo tre ore ci fermiamo a Cisopani (acqua fredda), vediamo sorpassarci i Canadesi, gli svizzeri ed i francesi, ma con questa strategia dovremmo aver lasciato il gruppone numeroso, pranziamo e ceniamo con il sottofondo dell’acqua del fiume e quello della sorgente.

09 ottobre - Una tappa lunghissima con un discreto dislivello, nel fresco della foresta, con un passaggio su un ponte molto ardito. Durante le quasi sei ore si trova un ristoro solo, a un certo punto eravamo fermi in un punto della foresta dove il frinire delle cicale era assordante.

Il paesino di Giangyang è diviso in tre parti, la più alta quasi disabitata, la centrale dove si trova anche il lodge  e di seguito il monastero

Tutti i canadesi in tenda, gli svizzeri sparsi in giro e noi tre dopo un grande cena abbiamo preso la via del letto.

10 ottobre - un dislivello di circa mille metri, una distanza di circa 20 km. Una tratta tranquilla ma faticosa, con attraversamenti di gole dove il fiume in secoli ha scavato un profondo canion,  c’è stato un attimo di panico quando una grossa pietra ha sfiorato Franco. Dopo tanto salire siamo arrivati al paesino di  Lama Gaon ed abbiamo trovato posto in una casa privata….. Una stalla…. Abbiamo continuato fino al paese di  Phurbe dove abbiamo cenato e dormito. Siamo a 3200 metri e stasera sacco a pelo!!!!!

11 ottobre - Alle sette come sempre ripartiamo, ci addentriamo dentro la valle che ora è un altopiano con lento ma continuo dislivello, un sentiero a volte interrotto da torrenti o frane.
Lo scenario è grandioso montagne grigie con lunghe colate di pietrisco fanno da preludio a cime molto più importanti, tutte intorno ai settemila, cariche di neve eterna.
Arriviamo al paese di Mugumpa dove un monastero del quattordicesimo secolo fa da vedetta all’intera valle.
Dopo una breve visita salutiamo i monaci e torniamo al lodge dove però abbiamo messo le tende.
Oggi il punto massimo toccati è stato 3.570 slm.

12 ottobre - sosta a Njile, in  tenda ma a mangiare in una casa tibetana, qui si trova solo riso, patate e poche verdure, gli altri sono andati in un monastero nella parte alta del paese, io ho preferito la tintarella. Nel tardo pomeriggio con Franco siamo tornati nel villaggio a consegnare i vestitini che avevo portato per i più poveri e qui in realtà non ho visto dei poveri perché quando hai tutto ciò che ti permette di vivere allora sei ricco. Sicuramente i vestitini dei bimbi sono luridi, stracciati ed hanno il colore della terra e della loro pelle, ma i bimbi qui in Tibet come in Nepal vivono tutto il giorno fuori, giocando con la terra, con gli animali, senza desiderare i giocattoli che ormai i nostri bambini non sanno più apprezzare.
Vedere la gioia e lo stupore in quei bambini vestiti con gli abitini dismessi di Guya mi ha reso veramente felice.

13 ottobre - Sveglia alle cinque dopo una notte quasi insonne a causa di un cane che abbaiava di continuo. Colazione e subito il gruppo si è diviso in tre: Franco ed io avanti, poi i portatori ed infine Pietro e Krishna. Partiti alle sei e quarantacinque e arrivati a Tsumling alle dodici e dieci.
E’ stata una discesa divertente, senza soste, addirittura in certi punti correndo, abbiamo incontrato turisti che salivano con i loro portatori e turisti che scendevano con fatica. Un dislivello di quasi mille metri e una distanza di circa venti km in circa cinque ore e mezza.
Domani rientriamo nel circuito del Manaslu, cosa dire della Tsum Valley…. Bisogna accettare i disagi, il freddo, la carenza di cibo e acqua ed allora tutto è veramente degno di essere considerato grandioso.
Il popolo tibetano è forte e dignitoso, aggrappato alla terra e alle sue tradizioni con seria e continua dignità. Sono ospitali e silenziosi, affabili e generosi, vivono nel ventunesimo secolo lontani dalla recessione, dalla sporca politica, dalle false illusioni, dall’incalzante consumismo. Non hanno nulla e sono molto più ricchi di noi.

14 ottobre - Lasciamo Tsumling alle sette e in un continuo saliscendi arriviamo finalmente Al bivio per il circuito del Manaslu, davanti s noi file di muli che portano le sacche dei turisti, incontriamo un gruppo di norvegesi e dopo quarantatre anni riesco a sapere cosa significa “ an nuzel ….” - un bacio -
Arriviamo a Pewa al Lodge Rubinala.
Qui vengo visitato dal dr.Roberto Tormen l’ortopedico che con il Cai di Belluno sta facendo il circuito del Manaslu e mi diagnostica, dopo un’accurata visita, la rottura del sovra spinale e sottospinale del mio solito braccio destro.
Antidolorifico e crema faranno miracoli, intanto io continuo a camminare, le gambe sono a posto.

15 ottobre - Stamattina il cielo è nuvoloso ma non pioverà, partiamo alle sette, come al solito, la spalla non fa male ma devo stare attento a non inciampare, ogni movimento brusco mi riacutizza il dolore. Saliamo lungo il fiume Buri Gandaki, sorpassiamo una cascata e qui mi faccio una bellissima doccia e idromassaggio, è un continuo saliscendi, superiamo Bhi e ci immettiamo in una gola profonda scavata in secoli dal fiume, in alto paesini quasi irraggiungibili, molto mais a seccare e le donne fischiano per chiamare il vento che porta via le scaglie mentre fanno cadere da enormi vassoi di canne intrecciate i semi. Bambini ci corrono incontro con le manine giunte gridandoci Namasté.
Il muro mani di Ghap presenta immagini di Buddha in diversi atteggiamenti, lo fotografo.
Arriviamo al lodge abbastanza stanchi, ci mangiamo una zuppa e le gustosissime patate fritte, un the e poi tutti in branda a riposare. Abbiamo camminato per cinque ore e ora siamo a 2100 metri… fa un  poco freddo.

16 ottobre - Lasciamo Ghap alle sette, un muro mani lunghissimo in cui appare Buddha in pietre scolpite e tante lastre con scritte in rilievo ci accompagna per almeno cinquanta metri, sia i muri-mani che i chartom vanno sempre presi sulla sinistra. Arriviamo alla confluenza con il Tom Khola, un fiume che scende direttamente dal Tibet e che raddoppia la portata del Buri Gandaki, più avanti un ponte di legno ci fa superare una gola molto profonda dove l’acqua ha scavato un enorme foro nella pietra ed esce ad una velocità impressionante. Siamo a 2600 metri quando arriviamo dopo un’ora e mezza a Namrung. Proseguiamo decisamente attraverso campi coltivati a grano che con il vento fanno dei giochi di luce straordinari. Salendo ovunque ci sia un pezzo di terra pianeggiante c’è il frumento. Si scende decisamente verso un altro torrente che superiamo su un ponte ormai al limite, infatti a fianco stanno cominciando i lavori per il nuovo ponte. Piccoli villaggi abbandonati lungo il sentiero fanno da contrasto al verde giallo del grano nelle piccole pianure delimitate da muri a secco.
Improvvisamente, superato un kani ( tempio porta d’ingresso) finalmente appare ai nostri occhi la montagna sacra: il Manaslu. E la cima del Naike. Superiamo il piccolo insediamento di Shrip ed in breve raggiungiamo Lho.
Una vita frenetica ci aspetta, il campo per le tende è già pieno di turisti, nel lodge troviamo solo una camera a tre letti, ci basta!
Un’ottima zuppa calda e piccante ci restituisce le forze e quindi saliamo per altri 150 metri fino al monastero dove vivono un centinaio di bambini, tutti rasati a zero, tutti con il loro abito rosso mattone e tutti sporchi.
Torniamo al lodge per la cena, il sole è calato e comincia a far freddo, siamo a 3180 metri.

17 ottobre - Mi sono commosso, si, è stato all’improvviso che ho visto il Manaslu  in tutta la sua imponenza.
Siamo partiti come al solito alle sette, scesi lungo un canalone, attraversato un torrente siamo entrati in una grande pineta ed abbiamo camminato sempre in salita per circa due ore, ad un passo lo spettacolo si è presentato in maniera grandiosa: una valle composta da due morene e sopra la catena del Manaslu con almeno tre ghiacciai, qualche nuvola ha interrotto lo stupore ma man mano che ci avvicinavamo al villaggio di Samagaon i Charten, i muro-mani e la gente ci hanno fatto capire che qui è TIBET.
I campi sono pieni di donne e bambini che raccolgono le patate, mi avvicino ad un gruppo e loro mi offrono patate bollite, le accetto, non mi curo delle loro mani sporche, i bambini mi tirano i peli delle braccia, mi toccano i capelli, i baffi bianche e mi gridano “Bura manchè”… vecchio.
Le donne sembrano cinquantenni ma magari avranno trent’anni, qui la vita è dura, siamo a 3500 metri, non è facile viverci ma loro ci sono da millenni.
Il lodge è bello, camere discretamente attrezzate e cuscini di crine, come piacciono a me.

18 ottobre - Samagaon un rifugio pieno di gente: gli italiani di Belluno, i francesi, i tedeschi, gli australiani di ritorno dalla scalata al Manaslu. Hanno fatto venti giorni di campo base e sei di scalata. Vedere il loro filmato sul Mac è stato esaltante, bellissima prova di sport e determinazione uniti alla resistenza ed alla tecnica, i materiali usati erano veramente sofisticati.
Nel pomeriggio siamo saliti al Gompa di Pungyen, in una valle a 4000m metri direttamente sotto l’imponente parete sud del Manaslu, dovevamo alzare lo sguardo fino all’inverosimile per veder le due cime innevate. La pana attraversata da innumerevoli ruscelli e circondata da montagne di oltre 7000 metri era solcata dall’invaso dell’ormai vuoto bacino che il ghiacciaio aveva scavato neo millenni, le due morene lunghe oltre due chilometri presentavano solo una bassa steppa sulla sommità, la parte interna ghiaiosa era in continuo movimento franoso, sulla base si sentiva scorrere l’acqua del lento disgelo.
Il Gompa, i muro.mani i Chorten erano tutti avvolti dalle bandiere tibetane, in questo ambiente  così inospitale vedere tantissimi yak brucare lenti faceva pensare di essere tornati alla preistoria, un luogo magico, un vero paesaggio himalayano. Siamo tornati al lodge decisi di voler passare qui almeno una notte.

19 ottobre - Sveglia e subito siamo saliti all’altopiano, mentre i nostri portatori montavano le tende abbiamo preso il sentiero che lentamente e faticosamente ci ha portati proprio sotto al ghiacciaio che scende dalla parete sud est del Manaslu, a 4400 metri… uno spettacolo immenso, il silenzio appena frazionato dal solo scorrere dell’acqua improvvisamente diventava rumore di tuono a causa delle tantissime piccole valanghe che si staccavano dalle pareti esposte al sole. Una sensazione di fragilità, d’impotenza specialmente la notte, come piccoli esseri di fronte a qualcosa d’innaturale e potente lo sguardo nel buio e una sola volta addirittura avvertirne lo spostamento d’aria.
Stare sotto una montagna di oltre 8000 metri mi fa sentire piccolo e indifeso ma nello stesso tempo un privilegiato, essere testimone di questa realtà ferma da millenni e mai immutabile, circondati da testimonianze antiche del passaggio di una civiltà che ancora resiste nelle tradizioni, nella cultura e nei riti sacri.
Facciamo una foto vicino al tempio con il gagliardetto del Cai di Mortara.
Il mattino seguente, 20 ottobre, ci spostiamo lungo le morene. sul cui fondo ancora resiste ghiaccio preistorico, fino a tre laghi verdissimi, vediamo ormai le tracce degli yak ma nessun animale è presente nella valle, i tibetani li hanno portati a valle e Franco intuisce che probabilmente il tempo sta per cambiare, nel pomeriggio le nuvole coprono le cime, arriva un vento improvviso e comincia un fitto nevischio ghiacciato, io lascio la tenda per rifugiarmi in una baracca di pietra con il pavimento di legno e passo la notte nelumbio sacco a pelo.

21 ottobre - Il mattino stento ad alzarmi per il silenzio innaturale e quando lo faccio scopro un ambiente diverso dalla sera prima: almeno trenta centimetri di neve hanno coperto tutto, dalle tende nessun suono, dalla baracca dei portatori niente, penso di essere rimasto solo, guardo l’orologio e scopro che sono le cinque, accendo il fuoco con lo sterco di yak ed aspetto, lentamente si alzano tutti, facciamo colazione, mentre i portatori smontano il campo cominciamo la discesa per tornare a Samagaon dove invece ha piovuto ed il sentiero è scivoloso e interrotto da piccoli ruscelli..
Scendiamo decisamente verso valle decidendo subito di interrompere il viaggio verso il passo Larka La e quindi rifare lo stesso tragitto dell’andata.
Arriviamo, anzi torniamo a Lhogaon alle tredici, pranziamo e quindi saliamo fino al monastero che si sta preparando per unna grande festa, infatti è stata completata la grande porta e i colori delle
innumerevoli bandiere rallegrano la valle grigia dai muri a secco e dalle case in pietra, un continuo arrivare di monaci dai paesi e dai gompa limitrofi, chi a piedi, chi a dorso di mulo anima i sentieri che
salgono al monastero, qui il saluto “Namastè” viene sostituito dal più tibetano Tashi Delek”.
Le notizie relative al passo non sono buone, è caduta tanta neve e le condizioni meteo dei prossimi giorni, sono ancora per una perturbazione estesa, decidiamo allora di tornare indietro.

22 ottobre -  Freddo, freddo, freddo! Lasciamo Lhogaon in una bellissima mattinata, i monti intorno a noi sono tutti ammantati di bianco ma il sentiero dove passiamo è ormai asciutto, arriviamo a Lhi che comincia il caldo, una sosta per qualche chiappati e uova sode e quindi continuiamo a scendere fino a raggiungere Ghap, un lodge gestito da un monaco che ormai abbiamo denominato “Lama-rupia”, sta attento a tutto, si segna ogni cosa che mangiamo o beviamo, ogni persona che entra e ogni tenda che viene piazzata sul suo terreno, va a riscuotere personalmente quanto a lui dovuto… cerco invano di fregargli qualcosa ma controlla sempre ogni spostamento di tutti quelli che transitano, alla fine trovo un uovo appena deposto da una gallina e, senza che lui se ne accorga me lo porto in camera dove lo bevo stando molto attento a non lasciare tracce che potrebbero farmi arrivare le sue maledizioni.
La nostra guida Krishna ha comprato due galline e le preparerà per cena, vederle legate e rassegnate mi fa decidere di non mangiare carne e allora stasera la solita zuppa, le solite patate fritte e coca cola cinese…. Schifosa.
Arrivano altri trekkers ma si devono accontentare della tenda, alcuni invece arrivano che è ormai buio e proseguono perché privi di tenda, i loro portatori sono esausti, fa pena vederli accettare rassegnati le decisioni dei loro “padroni”. I nostri invece vengono trattati bene, sono quattro ragazzi stupendi, di diverse etnie ma molto ben affiatati: Gupi, quello scuro che parla velocemente, Rajiu, quello che sta sempre vicino a Pietro, Rajindra lo studente e Kumar il silenzioso.
Oggi nel villaggio vicino al lodge ho comprato un tappeto da una tibetana che lavorava al telaio, le ho dato quello che mi ha chiesto, senza trattare sul prezzo, 3500 rupie… sicuramente un mese di lavoro fra badare ai figli, lavorare nei campi e tessere, circa trentatre euro!

23 ottobre - Partiamo da Gap alle sei e trenta, arriviamo a Philin alle 14.30, 3165 Kcal, 33500 passi, sei ore e mezzo di cammino, ma come sempre un continuo saliscendi ma non quello delle nostre montagne, scalinate in pietra interminabili e discese sempre su pietre malferme che i muli delle carovane distruggono ogni volta che passano, Franco ed io naturalmente testa bassa e poche parole siamo arrivati molto prima dei portatori e della guida… stremati. Parlare del percorso, delle bellezze, dei panorami e della gente incontrata è quasi superfluo, direi che invece è divertentissimo parlarvi dei turisti che incontravano intenti a salire verso il passo e che ignavi seguendo le loro guide rispondevano ai nostri hallo, namaste eccetera. Tutte persone anziane, malferme sulle gambe, flaccide e addirittura qualche obeso, uno addirittura aveva posto una foglia a copertura del naso fissata sotto l’archetto degli occhiali quasi a voler sconfiggere il tremendo sole che incombeva su di lui. C’era sempre, alla fine di ogni gruppo, la classica signora indecisa e timorosa che costringeva la guida o l’aiuto guida o addirittura un portatore a darle il braccio per procedere lungo questo tremendo trekking ( tremendo per lei)
Philin non è altro che un luogo di sosta ottimo per pranzare ma molto meno per dormire a causa del fatto che si trova in una stretta gola fredda e ventosa, il lodge è spartano e le piazzole per le tende quasi sempre invase da bambini e galline, un gruppo di tedeschi tutti con moglie hanno montato le loro tende con molte difficoltà ma sempre sotto lo sguardo ed i consigli del sapientone della compagnia che dava a tutti i consigli sbagliati. C’è stato infine un fuori programma dal sapientone che in canottiera e pantaloncini con banda laterale si è esibito in varie posizioni di stretching assolutamente inedite, è stato per noi un momento di vera gioia e conoscenza che ci ha accompagnati alle brande felici di essere semplici uomini appartenenti alla specie comune.

24 ottobre - Tappa breve ci ha comunicato Krishna, si, lo sarebbe stata se non avessimo avuto il solito problema delle innumerevoli scalinate e sentieri sconnessi. Cinque ore di cammino per vedere infine Doban, un punto tappa adatto per mangiare ma molto meno per dormire.
Il sentiero ormai lo conosciamo e le gambe vanno da sole, la gente dei rari villaggi non fa ormai più caso al turista che passa e spesso fra noi parliamo della Tsum Valley con nostalgia.

25 ottobre - Una tappa tranquilla e calda, con lunghi tratti addirittura sul greto del fiume dopo circa cinque ore siamo attivati a Lapubasi, abbiamo anche scelto il lodge, anche questo nuovo e ben curato.
Dopo il pranzo e la doccia ho proposto al gestore di improvvisarmi cuoco visto che era fornito di ottimi pomodori maturi, una bella pommarola ha preso forma e la sera me ne sono mangiati almeno tre etti. Il gestore del lodge ha voluto la ricetta assicurandomi che l’avrebbe fatta per gli italiani, gli ho c0onsigliato di metterla nel menù con la dicitura “Spaghetti o maccheroni con pommarola”

26 ottobre - Ultima tappa, fatta con la voglia di chiudere il trekking e sicuramente la tratta meno impegnativa anche grazie alla strada larga che ci ha portati fino a Arugath. Ma c’è sempre un ma… per far transitare una carovana di muli piuttosto numerosa ho deciso di togliermi dal sentiero e valutando malissimo il punto dove fermarmi sono precipitato, si, precipitato a terra sbattendo varie parti del corpo su sassi e pietre, direi che mi è andata benissimo, potevo finire veramente male, solo qualche graffio e ammaccature che mi porterà dietro per parecchi giorni.
Ad Arugath ci siamo sistemati in una suite addirittura con vasca idromassaggio, che poi non funzionava a causa della poca potenza della corrente elettrica questo non è un limite al lusso. Il vero lusso e farsi tagliare i capelli con finale di massaggio molto teatrale, accompagnato da schiocchi e pugni in testa per sole 59 rupie (circa 45 centesimi di euro!)
Il momento più esaltante per me e Franco è stato quello relativo alla “sartoria”, dovete sapere che spesso nei paesi, per terra, a volte, si vedono degli uomini che, forniti di macchina da cucire, rappezzano, creano e talvolta producono lavori di sartoria inimmaginabili, perché tutta questa anticipazione? Ve lo spiego subito: Franco possiede un paio di pantaloni ex blu che ormai logori e sfiniti restano attaccati ai suoi fianchi sicuramente per affetto o fantasia, ma sono effettivamente stanchi di fare la parte del pantalone perché moltissime cuciture sono ormai appese ad un filo, ebbene un sarto questa volta fornito oltreché di macchina da cucire anche di sartoria, dietro insistenza del titolare dei pantaloni ex blu ha provveduto a ricomporre quelle trame che ai sui tempi avevano sentenziato che il prodotto poteva chiamarsi pantaloni e miracolosamente con grande maestria per cento rupie il miracolo è avvenuto, naturalmente Franco è stato seduto in mutande, pudicamente coperto da un drappo era oggetto di sguardi interessati e incuriositi da parte dei tanti componenti del paese.
Per onor di cronaca ed anche per merito speciale alla sartoria creativa il nominativo del sarto sarà qui citato con relativa foto.

27 ottobre - alle sette e venti in punto, preceduto da un clacson che solo la fantasia del popolo nepalese poteva creare è sopraggiunto il pullman che ci avrebbe portati a Kathmandu, un pullman pubblico, dove sale gente e scende gente, un trenta posti a sedere dentro e tanti posti sul tetto ed appesi ai fianchi, ma i trenta posti a sedere erano poi accompagnati dai posti in piedi, dalle galline che qualche volta scacazzavano addosso ai malcapitati posti sotto di loro, l’esattore molto ligio al dovere saliva e scendeva dal piano superiore a quello interno inferiore come una perfetta scimmia. Il nostro gradito compito è stato quello di tenere in braccio i bambini, abbiamo provato anche con qualche graziosa mammina ma forse a causa della poca intimità ciò non è potuto accadere.
Una nota di grande merito andrebbe all’autista che cortesemente, durante tutto il viaggio durato otto ore ci ha fatto sentire lo stesso brano di musica nepalese a volume altissimo probabilmente credendo di farci cosa gradita e anche per non farci preoccupare di fronte alle tantissime difficoltà del cammino specie quando la strada era veramente posta su strapiombi preoccupanti.
Siamo comunque arrivati nella capitale felicissimi di poter tornare nel vero albergo dove avremmo potuto finalmente far riposare le nostre stanche membra.

Che dire, questo è il Nepal, vero, autentico, vibrante, colorato profumato puzzolente, rumoroso… ma vero, vero come niente di vero c’è dalle nostre parti dove le regole, i diritti, i doveri, la cultura e alla fine la civiltà ci allontanano sempre di più dalla vita, quella primordiale, quella che molti hanno dimenticato e moltissimi neppure sanno che esiste.

Kathmandu

A forza di fare le stesse strade, rispondere “no tanks” agli inviti ad acquistare da parte dei numerosissimi venditori, Franco ed io siamo diventati, nei sei giorni di sosta forzata prima del volo, parte viva e presente della vita del quartiere.
Siamo i primi al mattino a presentarci alla pasticceria per la colazione, ma mentre noi aspettiamo con educazione che il personale predisponga tutto per iniziare a lavorare, regolarmente veniamo sorpassati da turisti maleducati che si dirigono verso la cassiera… generalmente di nazionalità francese.
C’è un venditore di sciarpe ed altri generi di abbigliamento che ci saluta con la frase Arafat per via della famosa sciarpa da lui indossata. Poi c’è il venditore di flauti che mi chiama per nome (non ho comprato il flauto da lui ma penso che prima di partire lo farò), il venditore di the che mi ha accompagnato a comprare le cuffie per il mio Ipod prendendomi per mano e che ora mi chiama “My friend”, l’intagliatore di pietre che interrompe il suo lavoro appena ci vede per assecondare tutti i nostri desideri o risolvere dei problemi, il venditore di gioielli pronto a offrirci il the ogni volta che ci vede… ma il personaggio veramente straordinario è  quello che noi chiamiamo “il muto” per via di numerosi inceppamenti nel parlare, persona dolcissima, sempre sorridente e gentile che per anni proponeva a Franco di comprare i prodotti della sua sartoria artigianale.
Quest’anno per meglio confezionare alcune pietre lavorate da regalare a parenti e amici abbiamo pensato di fargli fare dei contenitori in stoffa, ha aderito subito e domani ce li consegnerà, il costo è sicuramente elevato ma lui merita un aiuto.
C’è da dire che i turisti più belli da vedere sono i ragazzi, specie quelli provenienti dall’estremo nord, i più brutti decisamente gli italiani e i francesi. Gli italiani a causa del loro modo di vestire ricercato e dal fatto che parlano a voce alta, i francesi per la loro invadenza.
Rispettare questa gente significa lasciarli avvolti dal loro odore, dalle loro semplici cose, dalle loro unità di misura. Oggi abbiamo preso un autobus pubblico e siamo andati a vedere un monastero, accanto a me una ragazzina mandava un sms con il suo Nokia, era uguale al mio ed allora anch’io mi sono messo a mandare messaggi, mi ha guardato e mi ha sorriso…, e se avessi avuto come tutti nella mia famiglia il nuovissimo IPhone 4? Sicuramente si sarebbe sentita povera!!!
Ci rechiamo a salutare i componenti dell’Agenzia Asian Adventure che così professionalmente ci ha accompagnati durante tutto il trekking ed anche nella sistemazione a Kathmandu e lasciamo il gagliardetto del Cai di Mortara che espongono orgogliosi nell’ufficio.
Sia Franco che io abbiamo tutti i giorni gli stessi pantaloni e la stessa camicia, le stesse scarpe, la stessa faccia, siamo sempre e solo noi, gli amici italiani che girano per Thamel dalla mattina alla sera, sempre sorridenti e gentili verso tutti, specie con i bambini, quelli sporchi che sanno che ogni giorno per loro ci sono sempre cinque o dieci rupie e che l’ultima sera saranno sicuramente molte di più. Namastè… Namastè.

Arriva infine il giorno della partenza, ci vengono a trovare il titolare dell'Agenzia Asian Adventure, la nostra guida e ci mettono al collo le sciarpe gialle, il taxi è pronto, attraversiamo una Kathmandu che improvvisamente sembra ancora più caotica, il motore del taxi si spegne più volte, quasi in apnea attendiamo le ripartenze e infine l'aeroporto, una sbarra e il taxi si ferma, stenta a ripartire ma alla fine ce la fa, arriviamo davanti alle partenze e in mezzo alla confusione ci dirigiamo alla pesa dei bagagli... siamo in regola.
Alle 21.30 lasciamo il suolo nepalese, guardiamo dal finestrino per individuare i posti conosciuti ma è buio, ripassiamo i volti, le voci, i profumi e lentamente tutto scompare disturbato dal rumore della tecnologia.
Lo scalo a Doha, nel Qatar è infinito, come la stessa città che s’intravede con il suo Sky Line formato da assurdi grattacieli, una città costruita con i petrol dollari, una città piena di tutto e senza anima, me la immagino pulitissima e deserta, solcata da Ferrari e Lamborghini, con tantissima sabbia che lentamente nei secoli coprirà tutto. Gli altri hanno il volo diretto per Malpensa e dopo poco... prendono il volo, io 
passo la notte nell'aeroporto, ciondolando fra bar e centri commerciali, dove c'è tutto ciò che fa sentire occidentali anche i cammelli.
Alle nove del mattino finalmente salgo sull'aereo che mi porterà a Monaco, comincio a sentir parlare italiano, leggo il mio libro distrattamente, faccio sosta a Monaco per due ore ed infine su un aereo della Air Dolomiti atterro a Genova.
Caos, gente che grida, tutti che telefonano... la stazione Brignole è allagata, ci sono stati dei morti, i taxi si rifiutano di partire. Mi siedo e chiamo casa, stanno tutti bene ma non possono venire a prendermi, l'autostrada è interrotta, dico che non ho fretta di tornare, aspetterò in aeroporto due o tre giorni e poi quando tutto sarà più tranquillo mi metterò in viaggio.
Arriva un autobus, scendo a Genova Principe, prendo un intercity, in meno di un'ora sono a Chiavari, c'è Massimo, mio figlio che mi aspetta con la macchina, arrivo a casa, il mio cane Zac impazzisce di gioia... casa, dolce casa...
Ciao Kathmandu, ciao amici nepalesi, ciao profumi, rumore, confusione, ciao sentieri e panorami incredibili, ciao, tornerò il prossimo anno, ho già con me la proposta per il campo base dell'Annapurna.
Mai fermarsi a ricordare, per i ricordi c'è tempo, è molto meglio andare avanti con i sogni e poi cercare di realizzarli.
Namastè.


Bimba bella

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.